UN ARCIPELAGO DA CO-CREARE. ROMPERE L’ISOLAMENTO TRA ENTI FILANTROPICI E IMPRESE SOCIALI

Perché oggi in Italia e in Europa solo l’1% del capitale di cui le imprese sociali hanno bisogno proviene dagli enti filantropici? In teoria, gli enti filantropici dispongono proprio del tipo di capitale che potrebbe fare la differenza, e allora? Dove si annidano le ragioni di questa mancata corrispondenza? Se vogliamo attivare il potenziale del Piano d’Azione europeo sull’economia sociale, proviamo a sfatare tre falsi miti e a fare i conti con un elefante nella stanza e tre lati ciechi che ci ancorano ai blocchi di partenza.

di Carola Carazzone, Segretaria generale di Assifero

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[…] Gli enti filantropici rappresentano in Europa appena l’1% del totale dei finanziamenti offerti alle imprese sociali. Secondo gli ultimi dati di Impact Europe (fino a novembre 2023 EVPA- European Venture Philanthropy Association) nel rapporto Accelerating Impact (2022) le organizzazioni filantropiche nell’Unione Europea sono all’ultimo posto tra gli investitori di impatto, che l’associazione definisce impact capital providers per includere fondazioni e altre organizzazioni filantropiche, impact funds, banche e istituzioni finanziarie, corporate impact actors, public funders. Ciò non sorprende: la gestione dei patrimoni da parte delle fondazioni è conservativa e legata alle normative nazionali. Il passaggio dagli investimenti tradizionali da parte della filantropia all’impact investing è molto lento, ma questo significa, d’altra parte, che c’è grande margine e potenziale di crescita.

La stessa dinamica si registra in Italia: le istituzioni finanziarie contano il 64% del mercato, seguito dal 27% degli investitori individuali tramite meccanismi istituzionalizzati (per esempio, employment saving schemes), 5% fondi pubblici nazionali o locali, 2% investitori istituzionali (fondi pensione, compagnie assicurative), 1% fondazioni e 1% altre organizzazioni.

Nel rapporto 15 Years of Impact – Taking Stock and Looking Ahead del 2019, EVPA aveva illustrato lo spettro dell’ecosistema dell’impatto, riportato nella figura di seguito, che definisce la posizione e il ruolo dei diversi tipi di impact capital providers. Tra il grant-making tradizionale (esclusivamente donazioni a fondo perduto) e l’investimento finanziario sostenibile e responsabile (SRI/ ESG), EVPA identifica due principali aree: investire per l’impatto e investire con l’impatto.

Gli investitori per l’impatto (investors for impact) applicano l’approccio della venture philanthropy, adattando l’offerta finanziaria per le organizzazioni a scopo sociale, fornendo un sostegno non finanziario (oltre che finanziario) e misurando l’impatto sociale ottenuto. Questi investitori ambiscono prioritariamente all’impatto sociale: prendono come punto di partenza le esigenze degli enti a scopo sociale e studiano gli strumenti finanziari più adatti a sostenerli. Si assumono rischi che nessun altro può o è disposto a correre.

Gli investitori con impatto (investors with impact), invece, devono garantire un predefinito ritorno finanziario sul loro investimento insieme all’impatto positivo che intendono generare. Assumono un livello di rischio basso, spesso investendo in modelli di business che hanno un track record di risultati innanzitutto finanziari e poi, auspicabilmente ma eventualmente, anche di impatto.

In teoria, gli enti filantropici detengono capitale per l’impatto: capitale di catalizzazione, paziente, flessibile, solidale di cui le imprese sociali necessitano come il pane…e allora perché sono all’ultimo posto tra gli investitori di impatto (impact capital providers)? Perché il capitale filantropico costituisce appena l’1% del totale dei finanziamenti offerti alle imprese sociali? Dove si annidano le ragioni di questa mancata corrispondenza?

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