SOUTH WORKING E IL RISCATTO DEI TERRITORI DEL SUD

Un libro di Mario Mirabile ed Elena Militello (Donzelli Editore) racconta il futuro sostenibile del lavoro agile in Italia. Nella prefazione, il presidente della Fondazione Con il Sud, Carlo Borgomeo, sottolinea che “il nostro problema non è quello di trattenere i cervelli al Sud, ma di rendere il Sud attrattivo per i giovani e i talenti meridionali e non”. L’articolo su Vita

La pandemia ha accentuato un fenomeno che era già presente nella società occidentale, Italia compresa: il lavoro agile, quello fatto da casa, nelle sue varie forme. Per qualcuno è stata un’autentica manna piovuta dal cielo, per altri una disgrazia perché è venuta a mancare la socialità. In taluni casi, compresa la pubblica amministrazione, ha registrato addirittura un incremento della produttività dei lavoratori, ma non sempre è andata così bene: anche stavolta non sono mancati i furbacchioni che sono riusciti a mimetizzarsi, lavorando con il freno a mano tirato. Di questo e di tanti altri aspetti parla il libro “South Working – Per un futuro sostenibile del lavoro agile in Italia”, di Mario Mirabile ed Elena Militello (Donzelli Editore).

Nella prefazione a cura di Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione Con il Sud che sostiene il progetto “South Working – Lavorare dal Sud”, c’è una premessa che fa capire l’importanza di supportare un’iniziativa del genere: «Decidemmo di assegnare un contributo finanziario a South Working per sostenerne la fase di start-up, ma, soprattutto decidemmo di “allearci” con questa associazione perché convinti che lo smart working, al Sud, può essere più di un fenomeno congiunturale e tendenzialmente provvisorio, e, soprattutto, perché lavorare da Sud non è solo una opportunità per i singoli lavoratori interessati, ma una opportunità per le comunità». E ancora: «La Fondazione Con il Sud – sottolinea Borgomeo – ritiene che la causa vera del divario Nord-Sud sia nella sottodotazione di capitale sociale: il sociale, il capitale umano, la conoscenza non sono l’esito dello sviluppo, ma la causa. Un territorio si sviluppa non perché a esso sono assicurati ingenti trasferimenti di risorse; questi sono certamente utili, anzi necessari, ma, come ci ha insegnato la storia del nostro Sud, diventano improduttivi e anzi fattore di dipendenza, se non incrociano, sui territori, energie positive, voglia di sviluppo, dimensione comunitaria: in una parola capitale sociale. Giovani che ritornano al Sud, anche lavorando per aziende del Nord o dell’estero, comunque contribuiscono a rendere più forte la loro comunità; certamente qualificano il capitale sociale e possono assicurare dinamismo e nuova competitività ai territori».

L’articolo completo su vita.it