PERCHÈ LA COPROGETTAZIONE NON È UN “FALSO AMICO”

La coprogettazione è un “falso amico” come recentemente si è affermato, una prassi solo apparentemente innovativa che in realtà ribadisce una posizione subordinata del Terzo settore? Alcune buone motivazioni per affermare che non è così

Due cari amici ricercatori che da anni si occupano di Terzo settore, Flaviano Zandonai e Lorenzo Bandera, hanno pubblicato alcuni giorni fa su secondowelfare.it un articolo in cui qualificano la coprogettazione, in particolare quella realizzata ai sensi dell’art. 55 del Codice del Terzo settore, come “falso amico”. Infatti, argomentano gli Autori, l’impostazione dell’art. 55 è “dirigista e asimmetrica”, affidando la guida del processo – la sua genesi, la sua gestione e il suo esito – alla burocrazia pubblica, che, non contenta di fruire di prestazioni a basso costo, così estrae dal terzo settore anche la capacità progettuale. L’accesso ai procedimenti di coprogettazione sarebbe inoltre fortemente selettivo, similmente a quello degli appalti, marginalizzando i soggetti più piccoli e informali, diversamente da quanto avviene ad esempio nei patti di collaborazione; la selettività riguarderebbe inoltre le piccole organizzazioni che non riescono ad adeguarsi ai criteri della riforma per assumere la qualifica di Enti di Terzo settore o quelle che non ne fanno parte, perdendo il contributo dei tanti “soggetti singoli e associati che fanno dell’informalità o della scarsa strutturazione un punto forte della loro capacità di innovazione”, precludendo così l’originalità e l’autonomia di cui tali soggetti sono portatori.

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