NASCE SEMIA FONDO DELLE DONNE PER SOSTENERE CHI LOTTA IN PRIMA LINEA PER DIRITTI E UGUAGLIANZA DI GENERE

Al via il primo Fondo delle Donne italiano con il lancio di una pionieristica indagine conoscitiva sul movimento femminista contemporaneo. La prima anticipazione del rapporto “Il movimento femminista italiano: analisi conoscitiva, sfide e sostenibilità”, inedita fotografia delle organizzazioni italiane in sostegno della parità di genere che verrà presentato il 14 dicembre alla Casa internazionale delle Donne a Roma.

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Finalmente anche il movimento femminista italiano ha il suo “Fondo delle Donne”: Semia Fondo delle Donne Ente Filantropico è la neonata fondazione la cui missione è supportare tutte le realtà territoriali impegnate in prima linea nella difesa dei diritti delle donne, ragazze, bambine, persone trans e non binarie.

Ma cosa sono i Fondi delle Donne?

I fondi delle donne o fondi femministi sono speciali fondazioni che in tutto il mondo sollecitano, raccolgono ed erogano risorse per supportare in maniera capillare i movimenti per i diritti delle donne e di genere. Lavorando a livello nazionale, regionale o globale, i fondi per le donne rispondono alle esigenze delle attiviste femministe locali e dei loro movimenti. I fondi femministi svolgono, oggi, un ruolo fondamentale di advocacy con altri donatori, quali le fondazioni, le aziende e i governi, per far comprendere e valorizzare l’attivismo femminista e il suo importante contributo al cambiamento sociale. Il primo, il Global Fund for Women, nasce nel 1987 ed è ad oggi la più grande fondazione per la difesa dei diritti delle donne nel mondo con circa $10 milioni di esborso per anno. Attualmente, oltre 40 fondi femministi – di cui 13 in Europa – operano in partnership tra di loro e in collaborazione con la filantropia istituzionale privata e le istituzioni pubbliche di ogni paese, ottenendo importanti risultati nel progresso verso la parità di genere.

Perché un fondo delle donne anche in Italia?

In Italia, le organizzazioni e le associazioni che si occupano di diritti delle donne e uguaglianza di genere sono una parte vitale del terzo settore ma operano con risorse limitate e in un contesto difficile. Come parte del proprio studio di fattibilità, Semia Fondo delle Donne ha condotto una mappatura del movimento italiano. L’indagine ha identificato oltre mille realtà che si occupano di questioni di genere sul territorio nazionale, localizzate in prevalenza al Nord e al Centro, di cui oltre il 40% nelle aree metropolitane, più ricche e servite, con un’aggregazione considerevole nell’area metropolitana della capitale (16%). Quasi il 70% delle organizzazioni mappate sono di piccola dimensione con meno di 15 persone impegnate nelle attività, in capacità perlopiù volontaria. La grande maggioranza sopravvive di autofinanziamento; solo il 38% ha ricevuto fondi pubblici e meno del 15% ha stabilito relazioni con fondazioni italiane.

Il sondaggio restituisce, poi, un’immagine chiara delle difficoltà che impediscono al movimento un’azione più incisiva: il 61,41% delle organizzazioni lamenta la mancanza di fondi, mentre il 44,56% denuncia carenze di tipo strutturale e organizzativo, mancanza di strumenti di pianificazione, di progettazione e di sostenibilità, così come l’impossibilità di assumere risorse umane professionali per la gestione di aree strategiche come la raccolta fondi, la progettazione e la comunicazione. Questa condizione di diffusa insufficienza di risorse – probabilmente accentuata dalla pandemia – mette a dura prova la capacità delle organizzazioni di sopravvivere e operare, aprendo la prospettiva di un progressivo indebolimento del loro ruolo sociale.

Ma crescita e rafforzamento del movimento sono anche fortemente limitati dai meccanismi della filantropia contemporanea. Da una parte, i bandi pubblici, italiani ed esteri, focalizzati sul finanziamento dei “progetti” con una filosofia di riduzione all’osso dei costi di struttura – erroneamente considerati come un indicatore di efficienza gestionale dei beneficiari – impongono meccanismi di selezione e oneri di rendicontazione spesso insostenibili per le piccole organizzazioni. Dall’altra, la filantropia privata che, pur potendo investire sulle necessità di crescita e sviluppo dei “soggetti” del settore per aumentarne la resilienza e la sostenibilità, rimane spesso lontana geograficamente e tematicamente dalle realtà delle organizzazioni del territorio. Questa lontananza determina fenomeni di scarsa “fiducia” nella congruità del loro operato e, dunque, una tendenza a privilegiare le poche organizzazioni più solide e strutturate.

Come operano i fondi delle donne?

Il modello filantropico del fondo delle donne è basato sull’assunto che un movimento per i diritti di genere ampio, diffuso, sostenibile, creativo e connesso, sia capace di trasformare la società con un approccio dal basso (grassroots) rendendola più aperta e inclusiva, e mettendo al centro i diritti e le libertà fondamentali delle donne e delle altre identità di genere. Ma è soprattutto la strategia operativa dei fondi delle donne a presentare elementi di grande innovazione rispetto alle fondazioni tradizionali. Il fondo femminista lavora, infatti, con un forte accento sui “soggetti” che compongono il movimento e sul rafforzamento strutturale delle sue organizzazioni. La sua operatività si basa su tre concetti: il finanziamento flessibile, il supporto integrale e il sapere situato.

Il finanziamento flessibile lascia autonomia decisionale alle organizzazioni su dove meglio impiegare i fondi incoraggiando anche gli investimenti sui costi di struttura necessari per rafforzare la resilienza e la sostenibilità delle organizzazioni. Il supporto integrale associa al finanziamento, lì dove necessario, attività di accompagnamento e mentoring e un portafoglio di moduli formativi di “capacity building”. Il sapere situato è, infine, un approccio analitico e calibrato sull’esperienza individuale di ogni realtà beneficiaria che consente di valutare le difficoltà della singola organizzazione e facilitarne le soluzioni. I fondi femministi si considerano, essi stessi, parte dell’ecosistema femminista in una posizione di prossimità ed ascolto verso le organizzazioni del movimento.

La collaborazione tra il fondo femminista e le fondazioni tradizionali per l’impostazione delle attività di co-granting ha, inoltre, molte similitudini con il modello del microcredito. Così come i fondi di microcredito, potenziati dalle banche ordinarie, erogano finanziamenti di piccola entità e supporto a soggetti altrimenti non ‘bancabili” raggiungendo significativi obbiettivi di sviluppo, il fondo delle donne si inserisce come una cerniera tra le fondazioni tradizionali e le organizzazioni del territorio. I fondi, capaci di intercettare le organizzazioni – anche piccole e poco strutturate – con un elevato potenziale di sviluppo, offrono strumenti di crescita e rafforzamento strutturale, affiancamento e networking assicurando un arricchimento dell’ecosistema femminista e di promozione dei diritti di genere, supportando un approccio intersezionale verso le minoranze più discriminate e, nel medio termine, contribuendo ad un impatto sociale sistemico e trasformativo.


“Purtroppo, nel nostro Paese la narrativa intorno alla violenza di genere ci ripropone troppo spesso l’idea di donne come soggette di protezione e difesa e non come soggette di diritti. Questa narrazione, che ci ritrae come vittime – anch’essa in essenza piuttosto patriarcale – fa purtroppo il gioco di un sistema in cui, se una donna conosce i propri diritti e le proprie libertà e alza la voce per farli rispettare, allora è percepita come inappropriata, aggressiva e finanche violenta, perché disturba lo ‘status quo’. È importante, quindi, che senza in alcun modo sminuire l’urgenza della risposta alla violenza di genere, si percepiscano le donne come soggette di diritti e si smetta di parlare di violenza di genere con toni ‘re-vittimizzanti’ o paternalistici. Inoltre, resta fondamentale parlare di autodeterminazione, perché le donne possano essere libere di vivere la propria vita come meglio credono, perché si rispettino tutte le soggettività e non si abbia bisogno di protezione e difesa, ma di rispetto e dignità umana. Credo che questa sia una delle chiavi culturali per contrastare veramente e alla radice la violenza di genere”.

L’intervista a Miriam Mastria, Co-fondatrice di Semia