IL SISTEMA ITALIANO DI PROTEZIONE PER LE DONNE VITTIME DI VIOLENZA

IL CONTESTO

La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e
contro la violenza domestica (Istanbul, 2011)
prevede che gli Stati aderenti predispongano “servizi
specializzati di supporto immediato, nel breve e lungo periodo, per ogni vittima di un qualsiasi atto
di violenza che rientra nel campo di applicazione
” della Convenzione.

A seguito della ratifica della Convenzione da parte dell’Italia nel 2013 i Piani nazionali contro la
violenza hanno segnato un importante cambio di passo nella conoscenza del sistema di protezione
delle donne vittima di violenza.

L’Istat ha iniziato, dal 2017, a rilevare dati attinenti al Sistema della Protezione delle donne vittime
di violenza. Nel 2018 sono state avviate le Indagini sulle prestazioni ed erogazioni dei servizi offerti
dai Centri antiviolenza (CAV) e analoga rilevazione sulle Case rifugio, nel 2020 la rilevazione
statistica sull’Utenza dei Centri antiviolenza e la diffusione dei dati del numero di pubblica utilità
(1522) contro la violenza e lo stalking. Queste rilevazioni sono realizzate in collaborazione con il
Dipartimento per le Pari Opportunità (DPO)1 presso la Presidenza del Consiglio e con le Regioni.

Leggi il report completo dell’ISTAT “I Centri Antiviolenza e le donne che hanno avviato il percorso di uscita dalla violenza (2022)

I NUMERI DELLA RETE DI CONTRASTO ALLA VIOLENZA DI GENERE

La rete di protezione è di fondamentale importanza per le donne vittime di violenza: prima di iniziare il percorso di uscita dalla violenza, il 40% delle donne si è rivolta ai parenti per cercare aiuto, il 30% alle forze dell’ordine, il 19,3% ha fatto ricorso al pronto soccorso e all’ospedale. Si ricorre al pronto soccorso/ospedale più di frequente in Lombardia, Basilicata e Umbria.

Le forze dell’ordine e i servizi sociali e sanitari hanno un importante ruolo nell’orientare le donne verso i CAV. Il 26,8% delle donne si reca ai CAV autonomamente e il 17,5% con l’aiuto di parenti e amici, ma il 32,7% è guidato dagli operatori sul territorio (forze dell’ordine, servizi sociali e presidi della salute). Le differenze regionali sono marcate.

La formazione è di centrale importanza: i CAV non soltanto sono luoghi di protezione per le donne, le cui operatrici che vi lavorano ricevono una formazione annuale (quasi nel 90% dei casi), ma si fanno carico di formare anche altre figure professionali all’esterno del CAV (71% dei casi). Quasi tutti i CAV si occupano di prevenzione sul territorio conducendo attività di vario tipo, fra le quali iniziative nelle scuole (nell’85,7% dei CAV).

Anche tramite il numero 1522 spesso le donne sono indirizzate verso i CAV e le Case rifugio: specificatamente, il 73,5% delle donne vittime di violenza è indirizzato ad un servizio territoriale di supporto. Di queste, il 94,4% è stato inviato a un CAV, il 2,4% alle forze dell’ordine e l’1,1% alle Case rifugio. Compito del 1522 è , infatti, anche quello di segnalare casi di urgenza.

Sono 373 i Centri antiviolenza e 431 le Case rifugio, un dato in aumento rispetto agli anni precedenti, così come è in aumento la loro utenza.

34.500 donne si rivolgono ai CAV, 21.252 di queste ha figli (61,6% del totale).

Su un totale di 15.248 figli minorenni, la percentuale di quelli che hanno assistito alla violenza del padre sulla madre è pari al 72,2% e il 19,7% la hanno anche subita.

Più dati sul sito dell’ISTAT – indagine pubblicata nel 2023 ma dati riferiti a 2021 e 2022


D.I.Re Donne In REte contro la Violenza – Report Annuale 2022

Nell’anno 2022 sono state accolte complessivamente 20.711 donne di cui 14.288 sono donne “nuove”, numeri sostanzialmente stabili rispetto all’anno precedente (14.565 nell’anno 2021).

Le reti territoriali di centri antiviolenza e strutture dedicate all’ospitalità hanno un importante ruolo nel supporto alle donne vittime di violenza, come indicato dalla Convenzione di Istanbul e come riconosciuto dall’Intesa Stato – Regioni. Ben il 95% delle strutture attive in Italia si appoggiano a reti territoriali.

Per quanto riguarda l’organizzazione dei CAV, essi garantiscono accoglienza e possibilità di consulenza legale nella totalità dei casi, offrono consulenza psicologica e percorsi di orientamento al lavoro in percentuali intorno al 90% dei casi. Sono aperti in media almeno 29 ore a settimana ma quasi la metà di essi (47% dei casi) superano la media, arrivando in alcuni casi (8 centri su 105) a oltre 53 ore a settimana. Sono le volontarie a sostenere le attività dei centri: su un totale di 2.874 (2.793 nel 2021) soltanto il 32,5% delle attiviste viene retribuita per il suo lavoro così come su 416 (372 nel 2021) solo il 26,4% delle nuove attiviste ha una qualche forma di retribuzione. 


Centri Antiviolenza sono strutture in cui figure specializzate offrono, anche a titolo volontario, uno spazio di ascolto e accoglienza per le donne che hanno subito violenza. Tramite sportelli e colloqui viene fornita una consulenza specifica per la vittima, che può trovare aiuto da parte di psicologhe, avvocate, mediche e altre professioniste. Per entrare in contatto con i CAV è possibile chiamare il 1522, numero nazionale istituzionale attivo 24h/24, oppure rivolgersi al Centro più vicino (qui la mappa).

Le Case Rifugio sono invece strutture fisiche dove le donne vittime di violenza possono essere ospitate insieme ai loro bambini e bambine, per interrompere una violenza in atto. Gli indirizzi sono segreti per tutelare le vittime dai loro abuser. L’accesso alla Casa Rifugio può avvenire tramite segnalazione diretta, se proveniente dalla donna vittima di violenza, o indiretta, se trasmessa da altri servizi intercettati dalla vittima, come CAV, Pronto soccorso, 1522, servizi sociali e Forze dell’Ordine.

Per quanto riguarda i fondi, nel 51,4% dei casi sono composti da una combinazione tra supporto Pubblico e privato. Il 39,3% riceve esclusivamente finanziamenti pubblici, il 2,7% solo finanziamenti privati.

L’articolo completo di Giulia Greppi su Percorsi di Secondo Welfare (2022)