IL SEME DELLA PACE POSSIBILE

L’anno passato dal 24 febbraio 2022 non ci restituisce solo un catalogo degli orrori, ma anche un’infinità di bene, di azioni che hanno il merito non solo di sostenere le vittime ma anche di indicare la via per un futuro desiderabile, non più di guerra ma di pace e perciò di fraternità. Una fraternità intravista come almeno desiderabile anche se ancora lontana. L’editoriale del numero del magazine Vita in edicola. E un appuntamento il 20 febbraio.

Il compleanno della sciagurata e crudele invasione dell’Ucraina da parte della Russia ci pone davanti un catalogo di sofferenze, di crimini, di sangue, difficile da sostenere per gli occhi e per il cuore. Sul corpo della “martoriata Ucraina” come la chiama papa Francesco, e perciò sui corpi dei suoi cittadini, si sono consumate ogni tipo atrocità dall’uso di torture e violenze a quello di ordigni vietati dalle convenzioni internazionali, si sono colpite deliberatamente infrastrutture che permettono un residuo di vita normale come le centrali elettriche, quasi 8 milioni di ucraini sono stati costretti a fuggire all’estero e più di sei milioni hanno lasciato le proprie case e i propri affetti per cercare riparo in regioni dell’Ucraina meno soggette agli attacchi missilistici quotidiani. Decine di migliaia di ragazzi ucraini e russi sono morti negli scontri (si stimano almeno 200mila vittime) e non potranno tentare di dar corpo a ciò che sognavo per il loro futuro. La Russia da autocrazia si è trasformata in un feroce Stato di polizia, in una sterminata caserma, dove si arrestano migliaia di cittadini se si pronuncia o scrive la parola guerra invece che “operazione speciale”, uno Stato da cui i migliori scappano.

Ma l’anno passato da quel 24 febbraio non ci restituisce solo questo catalogo degli orrori, ma anche un’infinità di bene, di azioni che hanno il merito non solo di sostenere le vittime ma anche di indicare la via per un futuro desiderabile, non più di guerra ma di pace e perciò di fraternità. Una fraternità intravista come almeno desiderabile anche se ancora lontana.
Tre settimane dopo quel 24 febbraio, avevo scritto: «C’è una sola cosa da fare, io credo, abbracciare le vittime, soccorrerle, aiutarle, prenderle per mano, accoglierle. Questo deve rubarci ogni energia, ogni anelito, ogni parola. Tantissimi italiani, polacchi, rumeni, moldavi, ungheresi, slovacchi lo stanno facendo, lasciamo i dibattiti a chi sta sul tavolino e al computer o sul divano ora e sempre». Un sentimento e una decisione, ora possiamo dirlo, che è stata la stessa per decine di migliaia di italiani ed europei impegnati nell’accoglienza, nell’aiuto umanitario, nel sostegno financo spirituale. Una catena di solidarietà e di amicizia talmente imponente e diffusa che non bastano 100 libri per raccontarla.

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