IL NUOVO MODELLO DI CRESCITA DELLE STARTUP NELL’ERA DEI CRITERI ESG 

“Greed is good” (l’avidità fa bene), pronunciato da Gordon Gekko, il finanziere senza scrupoli del film Wall Street era il motto degli investitori più cinici degli anni ’80: erano i pionieri dei fondi locusta che compravano società per farne spezzatino al solo scopo di massimizzare il proprio ritorno economico. Operazioni per le quali il destino dei lavoratori, l’impatto sulla società (e spesso sull’ambiente) e il futuro delle aziende stesse non assumevano alcun rilievo.

Un mondo distante anni luce dal nostro, nel quale invece crescono le spinte per supportare un “better capitalism”, un capitalismo migliore. Un percorso iniziato nel 2004 quando per la prima volta è comparso il termine ESG (EnvironmentalSocialGovernance) all’interno di un rapporto intitolato “Who cares wins” preparato dalle istituzioni finanziarie su iniziativa dell’Onu. In meno di 20 anni, il movimento ESG è passato da un’iniziativa di responsabilità sociale d’impresa lanciata dalle Nazioni Unite a un fenomeno globale che rappresenta oltre 30.000 miliardi di dollari di asset gestiti.

D’altra parte è ormai chiaro a tutti che i limiti del pianeta sono reali. Motivo per cui è sempre più forte l’esigenza di pensare nuovi modelli di sviluppo che siano sostenibili. Capaci, quindi, di coniugare la ricerca e l’innovazione con il rispetto per l’ecosistema. E le startup non sono immuni da questa evoluzione, anzi possono essere un potentissimo catalizzatore.

In questo articolo su Secondo Welfare, Marco Noseda propone alcune riflessioni a partire da una recente ricerca di Cariplo Factory, l’innovation hub di Fondazione Cariplo, indicando anche alcuni casi concreti che descrivono il cambiamento in atto. Leggi l’articolo completo

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