CENTRI ANTIVIOLENZA: I NUMERI E LE RISORSE CHE MANCANO ALL’APPELLO 

I Centri antiviolenza (Cav) agiscono da presidi di libertà accogliendo donne che subiscono o sono minacciate di qualsiasi forma di violenza. Questi centri necessitano però di risorse che spesso rimangono imbrigliate nelle trame della burocrazia italiana e appese alle scadenze delle manovre politiche di bilancio. L’analisi di Tortuga think tank 

Con l’analisi della scomposta reazione della politica ai recenti femminicidi e alla scorsa giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Tortuga ha dato l’avvio a un percorso esplorativo dell’evidenza empirica sul tema in Italia. La pervasività della violenza di genere, che in Italia vede un caso denunciato ogni 10mila donne nel 2021, rende necessaria una lettura sistemica del fenomeno a partire dalle sue radici, affondate nelle istituzioni economiche, culturali e politiche del paese. Sulle spalle delle istituzioni politiche, come rappresentate dal governo eletto, cade la responsabilità di fornire supporto strutturale alle istituzioni sociali attive a contrasto della violenza di genere. Tra queste, i Centri antiviolenza (Cav) agiscono da presidi di libertà accogliendo donne che subiscono o sono minacciate di qualsiasi forma di violenza. Questi centri necessitano però di risorse che spesso rimangono imbrigliate nelle trame della burocrazia italiana e appese alle scadenze delle manovre politiche di bilancio.

In Italia, i Cav sono presenti sul territorio dalla fine degli anni ‘80 come espressione della società civile e dei suoi gruppi femministi. Nel 2013, queste realtà sono state istituzionalizzate come organo locale a supporto delle donne vittime di violenza. Unendo i dati Istat, disponibili a partire dal 2018, a quelli estrapolati dalla mappatura del 1522 (il numero verde antiviolenza), si nota che il numero dei Cav è cresciuto di anno in anno fino a raggiungere oggi il numero di 396.

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