DONNE E FUTURO: DISPARITÀ DI SALARIO, PER LE ACLI È “IMMORALE”

La Festa del Lavoro è appena trascorsa tra le solite inutili polemiche e poco o per nulla si è sentito parlare di un problema a cui di recente le Associazioni cristiane lavoratori italiani (Acli) hanno dedicato una corposa ricerca e che il presidente dell’associazione, Emiliano Manfredonia, ha avuto il coraggio di definire “immorale”.

“Lavorare dispari, oggi, per una donna, è quasi la norma. E non si tratta solo di differenza di remunerazione, anche se il fatto che nel 2023, a parità di mansione e di livello, una donna percepisca meno di un uomo è davvero immorale”: così ha scritto il presidente nella prefazione al libretto diffuso con il Corriere della Sera e che ha per titolo Lavorare Dis/pari.

Il testo riporta i risultati di un’indagine realizzata sia attraverso le banche dati dei Caf e del Patronato Acli, che ogni anno incontrano oltre tre milioni di persone, sia tramite una consultazione online che ha avuto come risultato 1.060 questionari compilati e validati.

Già a partire dall’analisi dei redditi complessivi derivanti da 1.321.590 dichiarazioni fiscali (modello 730) risulta che nelle fasce di reddito più basse sono maggiormente presenti le donne: ha infatti un reddito complessivo annuo inferiore o uguale a novemila euro (la soglia di povertà stimata dall’Istat in base alle differenti aree geografiche) il 19,2% delle donne rispetto al 6% degli uomini; tra chi si trova in una condizione di “povertà relativa”, ovvero con redditi compresi tra i novemila e gli 11mila euro, le donne sono più del doppio degli uomini (6,5% vs 2,7%); altrettanto si verifica tra coloro che hanno un reddito complessivo che non supera i 15mila euro (14,3% vs 7%) e che possono essere definiti “vulnerabili”, in quanto basta un evento imprevisto o fuori dall’ordinario per farli scivolare in povertà.

Attenzione però: il problema non è solo la disparità salariale ma è un insieme di fattori che rendono il lavoro femminile più difficile e poco dignitoso.

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