LE COMUNITÀ ENERGETICHE, UNA SFIDA PER LE IMPRESE SOCIALI

L’Unione Europea, per contenere l’innalzamento climatico globale, ha fissato l’obiettivo di ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e raggiungere la “carbon neutrality” entro il 2050. Un obiettivo che, nei piani dell’Unione Europea, sarà raggiunto attraverso un pacchetto organico di proposte volte e rivedere la regolazione comunitaria esistente e ad attuare nuove iniziative regolatorie denominato in modo “pop” Fit for 55%.

Le proposte del pacchetto Fit for 55% affrontano diverse dimensioni della transizione energetica, come ad esempio l’incremento dell’efficienza energetica, la produzione di energie rinnovabili e la revisione del sistema dei trasporti verso soluzioni a minori emissioni di CO2.

Per quanto riguarda la produzione di energia da fonti rinnovabili l’obiettivo è stato innalzato dal 32% al 40%. Per rispettare tale obiettivo in Italia il 40% del mix energetico dovrà essere rappresentato da energia rinnovabile entro il 2030.

È in questo contesto che sono state introdotte in Italia le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) che vanno oltre l’autoconsumo di energia prodotta da fonti rinnovabili. Le comunità energetiche sono, infatti, costituite da famiglie, imprese ed enti locali che collaborano volontariamente con l’obiettivo comune di produrre, consumare e condividere energia da fonti rinnovabili, senza avere come finalità la massimizzazione del profitto. Lo sviluppo delle CER ottimizza l’utilizzo dell’energia rinnovabile che una volta prodotta anziché essere immessa nella rete di alta tensione viene condivisa nel territorio in cui è stata generata. Per queste ragioni le CER rendono più sostenibile l’incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili e la transizione da una rete elettrica con pochi centri di produzione di energia ad una rete con una molteplicità di attori che producono, ed in molti casi consumano, energia elettrica.