VI RACCONTO I MIEI 80 ANNI: DA DON BENZI ALLA RICERCA DELLA VERA FELICITÀ

L’economista Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e “padre” dell’economia civile festeggia un compleanno importante. Vita ha passato con lui un’ora ripercorrendo i passaggi più significativi del suo percorso umano e di studio. A partire dai suoi primi anni a Rimini nato in una famiglia molto modesta e molto religiosa

“Stai in gioia”, è così che il professor Stefano Zamagni usa congedarsi dai suoi interlocutori, che siano dialoghi a voce o via mail, è quello il suo saluto, una formula che non cambia nemmeno al termine di un’ora a tu per tu per riannodare i fili di un percorso di vita arrivata a 80 anni. Zamagni, riminese di nascita (4 gennaio 1943) e bolognese di adozione ormai da tanti anni, è riconosciuto a livello mondiale come uno dei maggiori teorici dell’economia civile (e quindi come un “nemico” del neoliberalismo), oltre ad essere un sincero amico del Terzo settore (è stato presidente dell’Agenzia per il Terzo Settore e a lui si deve la legge sulle onlus, organizzazioni non lucrative di utilità sociale del 1997 e la nascita del think tank Aiccon dedicato alla cultura della cooperazione e del non profit, oggi diretto dal suo allievo Paolo Venturi). Dal marzo 2019 presiede – per volontà di papa Francesco – la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Sul comodino ha l’ultimo libro dello psicanalista Luigi Zoja intitolato “Il declino del desiderio”, “un tema che applica ai giovani, sostenendo che sta venendo meno anche il desiderio sessuale. Un segnale preoccupante per chi vuole guardare al futuro”, postilla Zamagni.

Professore, che tipo di famiglia era la sua?

La mia è una famiglia molto modesta e molto religiosa. Mio padre aveva fatto la guerra in marina e aveva la quinta elementare, mia madre solo la quarta. Eravamo quattro figli. Uno purtroppo è scomparso in tenera età. Oggi siamo rimasti in due: io e mia sorella minore, perché qualche tempo fa se ne è andato anche il fratello maggiore.

L’incontro più importante della mia infanzia è stato quello con don Oreste Benzi. Prima però accadde un altro episodio importante per la mia formazione. Avrò avuto 7-8 anni. Era il 1950, l’anno del grande Giubileo. Grazie a un concorso nella mia parrocchia riesco a “vincere” un viaggio in Vaticano, così vado dal Papa Pio XII. Pio XII, noto perché non sorrideva mai a nessuno, mi inginocchiai davanti a lui come da protocollo e lui mi diede un buffetto sulla guancia chiedendomi se volevo bene a Gesù. E io gli risposi: “Ma che domande sono queste?”. Lui si mise a sorridere come forse mai aveva fatto fino ad allora. Questo per dire che fin da bambino consideravo scontato voler bene a Gesù. Non ho mai avuto grandi problemi con la fede e quindi da questo punto di vista non ho un grande merito. No ho mai avuto la preoccupazione di chi si interroga sull’esistenza di Dio, perché lo vivevo nella mia interiorità. Poi a 13 anni incontrai don Benzi.

L’articolo completo su vita.it