UNA SOCIETÀ DISABILE

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l termine disabilità è ancora presente nell’immaginario collettivo come qualcosa di “mancante”, di “diverso”. A questo immaginario ha anche contribuito la parola stessa che ha una etimologia complessa dal punto di vista semantico; si tratta di una parola composta di due parti, il prefisso verbale e nominale “dis” (dal latino) che rovescia il senso buono o positivo della parola a cui si prefigge che in questo caso è “abilità”, che indica la capacità di compiere una determinata attività. Dunque, dis-abilità letteralmente assume il significato di “mancata abilità”.

In realtà,  all’utilizzo del termine “disabilità” si è giunti nel 1999 quando l’OMS decise di accantonare dai documenti ufficiali il termine “handicap”, che si riferiva più nello specifico a un impedimento, a menomazione fisica e psicologica, per introdurre quello di “disabilità” in un’accezione nuova, ovvero: “la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali, e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive l’individuo”. Quindi, l’adozione del termine “disabilità” mette in evidenza come lo svantaggio non sia una caratteristica della persona, ma un problema che nasce dal rapporto tra lo stato di salute dell’individuo e l’ambiente in cui vive. Secondo questo punto di vista, è la società a rendere la persona disabile “diversa” dagli altri, non è la persona ad esserlo.

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