STIAMO ANDANDO ALL’INFERNO, MA CON LE CRAVATTE ECOSOSTENIBILI

Tutto può essere utile per sottolineare l’importanza delle battaglie ambientali e sociali che dobbiamo affrontare. “Senza però nascondere una terribile verità: non stiamo facendo abbastanza, né contro la fame, né contro la crisi climatica”. L’editoriale di Donato Speroni, su Asvis.

Nel mio armadio ci sono tre cravatte di Marinella, regali ricevuti tanti anni fa. Ancora oggi, nelle rare occasioni nelle quali mi capita di adornare il collo, preferisco queste alle tante altre cravatte accumulate nel corso di una vita. Oltre a essere dei grandi artigiani, orgoglio della loro Napoli, i tutori del brand E. Marinella sono anche sensibili alla ecosostenibilità e hanno regalato ai partecipanti al G20 di Matera, svoltosi questa settimana, cravatte, foulards e pochettes da taschino, color bluette, fantasia all over, con punte di arancio, (…) in partnership con Orange Fiber, che ha brevettato e produce il primo tessuto sostenibile di agrumi al mondo. Il tessuto, dalla texture setosa ed impalpabile, è pensato per rispondere alle esigenze di innovazione eco-sostenibile della moda.

Da Matera alla West coast del Nord America la strada è lunga, ma i ministri riuniti nella Città dei Sassi per parlare di fame, vaccini e cambiamento climatico hanno certamente avvertito che le cronache provenienti dalla costa occidentale del Canada e degli Stati Uniti li sollecitavano a decisioni drammatiche e urgenti: temperature fino a 50 gradi centigradi, in aree dove il clima temperato abitualmente non richiede neppure l’uso di condizionatori, hanno provocato un’ecatombe di anziani e minacciano di innescare gravissimi incendi. Un inferno.

Non ci sono dubbi sulle cause. Del resto, proprio negli stessi giorni, è circolata una anticipazione del nuovo rapporto Ipcc, il panel di scienziati di tutto il mondo che studia la crisi climatica per conto dell’Onu, nel quale si adombra l’ipotesi che l’inazione di fronte al riscaldamento della Terra ci abbia fatto ormai superare alcuni tipping points, punti di non ritorno. Citiamo dalla notizia pubblicata da Futuranetwork:

Secondo l’Ipcc, in un mondo “in via di riscaldamento” la durata delle stagioni degli incendi, le potenziali aree a rischio desertificazione, le zone in crisi alimentare aumenteranno esponenzialmente. “Il Pianeta deve affrontare questa realtà e prepararsi”, si legge nella bozza. Entro il 2050, il surriscaldamento globale potrebbe infatti provocare rischi di fame cronica per decine di milioni di persone in più rispetto a oggi, e altri 130 milioni potrebbero sperimentare la povertà estrema entro un decennio.

Ancora una volta si conferma che gli aspetti climatici e gli aspetti sociali sono strettamente collegati. Dobbiamo mitigare l’aumento delle temperature, ma anche adattarci all’inevitabile, evitando di dare messaggi sbagliati. Sarebbe infatti catastrofico se l’accentuarsi dei segnali di disastro climatico inducesse l’opinione pubblica a pensare che “tanto non c’è niente da fare”. In realtà il messaggio dell’Ipcc ci dice proprio il contrario: ogni decimo di grado di aumento della temperatura mondiale che riusciremo ad evitare si tradurrà in lutti e sofferenze in meno. Già oggi dobbiamo prepararci a conseguenze della crisi climatica molto gravi per la nostra civiltà e dobbiamo pensare a come ridurne gli effetti sociali, ma bisogna anche dire che la sensibilità su questi temi è molto cresciuta e che forse la gente, dopo aver avvertito con la pandemia la precarietà del nostro equilibrio, è più disposta ad accettare misure drastiche senza illudersi di poter semplicemente ritornare al business as usual.

Persino Greta Thunberg, sempre così corrucciata, si è lasciata andare a una parola di speranza. In una intervista a cura di Luca Fraioli su Green & Blue, l’inserto ambientale del gruppo Gedi, la giovane attivista svedese, reduce dall’esperienza di un documentario, ha dichiarato:

Se da una parte mi sono resa conto come la situazione sia più grave di quanto si pensasse fino a pochi mesi fa, dall’altra ci sono stati progressi tecnologici che lasciano ben sperare. Ma la più grande fonte di speranza è un’altra. Durante la realizzazione del documentario ho incontrato tante persone e ho scoperto che sono molto più pronte di quanto si pensi a impegnarsi per il cambiamento. Le persone vogliono che si agisca per il clima. Quando diventano davvero consapevoli della crisi che stiamo fronteggiando allora si impegnano e chiedono che vengano messe in atto le misure necessarie per fermarla. Qualcuno sostiene che la crisi climatica porti le persone alla depressione, le impaurisca fino a paralizzarle. La mia esperienza è esattamente l’opposto: chi comprende le possibili conseguenze inizia a combattere”.

L’articolo completo su Asvis.it