NON POTRÀ ESSERCI SOSTENIBILITÀ SENZA UNA PRIMAVERA DI DIRITTI

Nel mondo c’è sempre meno libertà e più violenza. Lo spirito di ripresa che si avverte con l’uscita dalla pandemia potrà segnare una inversione di tendenza? Molto dipenderà dal ruolo che saprà giocare l’Europa. L’editoriale di Donato Speroni su Asvis.

Si può sperare

Che il mondo torni a quote più normali

Che possa contemplare il cielo e i fiori

Che non si parli più di dittature

Se avremo ancora un po’ da vivere

La primavera intanto tarda ad arrivare.

Così cantava Franco Battiato in “Povera patria”, nel 1991. Trent’anni dopo, quella primavera che egli auspicava non solo non è ancora arrivata, ma si può pensare che siamo precipitati in un inverno dei diritti. Basta mettere in fila alcuni eventi di questi primi mesi del 2021: i colpi di stato militari in Myanmar e di recente in Mali, il ritiro delle truppe occidentali dall’Afghanistan che prelude a nuove oppressioni per le donne di quel Paese, la feroce repressione scatenata nel Tigray dal primo ministro etiope Abiy Ahmed (premio Nobel per la pace 2019!), e ora il rischio, denunciato dall’Economist, che il presidente del Messico Raoul Lopez Obrador si trasformi in dittatore. Possiamo anche aggiungere il nuovo conflitto esploso tra israeliani e palestinesi e quello sempre latente tra Stato ebraico e Iran.

Minacce alla libertà e alla pace che vanno ad aggiungersi alle involuzioni già registrate nel recente passato, tra Stati falliti come la Somalia o al limite del fallimento come il Venezuela, regimi autoritari come quelli dell’Egitto e della Turchia (che si è anche ritirata dalla Convenzione di Istanbul per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne), per non parlare di Cina e Russia, oltre a un generale peggioramento della situazione delle libertà civili a seguito della pandemia, perché in molti Stati il Covid ha offerto l’occasione per imporre nuove restrizioni.

“Il virus ha aiutato i regimi”, dice la scrittrice polacca Olga Tokarezuk, premio Nobel per la letteratura 2018, in una intervista al Corriere della sera. Alla domanda: “È possibile che gli autoritarismi stiano avendo la meglio?”, risponde

È una preoccupazione che condivido. Anche in Polonia vedo scoraggiarsi le persone che la pensano diversamente dal partito di governo. L’illusione del benessere, poi, almeno da noi, fa sì che la libertà sembri una merce esclusiva senza la quale si può comunque vivere. È successo già molte volte nella storia della Polonia e del mondo. Ho l’impressione che la maggior parte delle persone manchi di una propria idea di futuro. E anche io, in un certo senso, mi sento spenta. Ancora più avvilente è il ritorno della violenza. Solo trent’anni fa si poteva viaggiare in auto e in sicurezza da Parigi a Delhi, in teoria. Oggi no.

Condivido la sensazione che qualche decennio fa il mondo fosse più sicuro e più aperto. Nel 1965, nel mio primo viaggio in Africa, giravo liberamente in bicicletta per Kano, nella Nigeria settentrionale oggi sotto forte minaccia jihadista, e potevo permettermi di camminare da solo con una macchina fotografica a tracolla nelle strade di Lagos, dove oggi si è sicuri solo in un’auto blindata. Persino nella civilissima Tunisia ci sono zone dove fino a qualche anno fa si poteva scendere a Sud fino al deserto tranquillamente con un’auto a noleggio, in zone che oggi sono sconsigliate dal sito della Farnesina “Viaggiare sicuri”.