MASCOLINITÀ TOSSICA E CAMBIAMENTO DI PARADIGMI CULTURALI

La riflessione di Carola Carazzone, Segretario Generale di Assifero, sul riequilibrio di genere in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne 2020 del 25 novembre

Contributo ricevuto in risposta alla prima “call for papers” di Letture Lente, a cura di Flavia Barca

TEMPI STORICI E TEMPI PERCEPITI NEL LUNGO CAMMINO PER LA GIUSTIZIA DI GENERE

Venticinque anni fa la Conferenza mondiale di Pechino approvò la Piattaforma di azione per le donne che trasformò le politiche a livello nazionale e internazionale in praticamente tutti i Paesi del mondo con un impatto complessivo non su milioni, ma su miliardi di persone.

Nel 1995 a Pechino i movimenti di tutto il mondo [1] ottennero dai governi il riconoscimento che “i diritti delle donne sono diritti umani”. Le parole chiave di Pechino – “punto di vista di genere”, “empowerment”, “mainstreaming” – segnarono un punto di non ritorno e una pietra miliare nel processo di riconoscimento dei diritti delle donne a livello mondiale.

Nell’evoluzione del diritto internazionale dei diritti umani, Pechino nel 1995 segnò, allo stesso tempo, un punto di arrivo – delle rivendicazioni promosse a partire dalla Convenzione ONU del 1979 sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne [2] – e un punto di partenza – per la attuazione di strategie nazionali multisettoriali volte ad ingaggiare diversi ministeri, le istituzioni nazionali e locali, le organizzazioni internazionali e la società civile.

Nel 1995 avevo vent’anni ed ero, come tanti studenti di giurisprudenza della mia generazione, un’attivista per i diritti umani che, come quasi sempre capita nel passaggio intergenerazionale, sentiva un enorme tributo di gratitudine nei confronti delle conquiste ottenute grazie alle attiviste della generazione precedente ma non si riconosceva nei modi del femminismo del Sessantotto.

La mia è stata la prima generazione di attivisti per i diritti umani dopo la caduta del muro di Berlino. Per noi le grandi conferenze mondiali degli anni Novanta (oltre a Pechino sulle donne, Rio sull’ambiente nel 1992, Vienna sui diritti umani nel 1993, Copenaghen sullo sviluppo sociale nel 1995, il Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre e Genova nel 2001) segnarono un passaggio epocale.

Rifiutavamo il mondo binario ereditato dai 45 anni di guerra fredda con la sua contrapposizione strumentalizzata e sclerotizzante tra diritti civili e politici, da un lato, e diritti economici, sociali e culturali dall’altro.

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