LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ DI FRONTE ALLA SFIDA COMUNITARIA NELLA CONTEMPORANEITÀ

Giovanni Teneggi, che cura lo sviluppo di cooperative di comunità per Confcooperative, racconta della V Conferenza Nazionale delle Fondazioni di Comunità, vero e proprio laboratorio di senso e pratiche della “costruzione comunitaria”

La V Conferenza Nazionale delle Fondazioni di Comunità promossa da Assifero – Associazione Italiana Fondazioni ed Enti Filantropici – e tenuta fra Siracusa, Modica e Favara il 29 e 30 settembre scorsi è stata un vero e proprio laboratorio di senso e pratiche della “costruzione comunitaria”. Così l’ha proposta il suo Segretario Generale, Carola Carazzone, e così l’hanno immediatamente istruita in avvio dei lavori le Fondazioni di Comunità di Noto e di Agrigento e Trapani con le loro presentazioni: pensieri, parole e (già) opere dense di visione e innovazione sociale, strettamente legate al nostro tempo e coraggiosamente sperimentali.

La cronaca del primo panel, che mi ha visto partecipare insieme ad altre esperienze che via via incontreremo, ha accettato la sfida e si è subito trasformato in tempo vivo di ricerca conversativa sul tema. Il confronto plenario che lo ha seguito ne ha peraltro indicato chiaramente la chiave e lo sviluppo, quasi a riscontro della puntualità dell’intuizione di metodo e merito che la Conferenza ha proposto. Il Presidente della Fondazione di Comunità Canavese, Augusto Vino, ha alzato lo sguardo dell’assemblea sulla responsabilità comune che riguarda le Fondazioni di fronte alla sfida della comunità e sulle azioni da programmare insieme. Orietta Filippini, Direttore della Fondazione della Comunità Bresciana, ha posto quindi la questione di fondo: non ci si può dire “di comunità” senza mettere in discussione l’attesa tradizionale della “funzione erogativa”, assumendo invece posture e iniziative trasformative, di piena e diretta implicazione, da “parte in causa”, sulla vicenda dei propri territori. Le esperienze introduttive citate con il racconto dei Presidenti delle Fondazioni ospitanti, insieme alle tante raccolte nella convivialità e quella della Fondazione Ronald MacDonald intervenuta per voce del suo Segretario Generale Maria Chiara Roti, ci hanno convinto sulla loro possibilità e invitato a una narrazione, anche scientifica e politica, più presente al fare e all’apprendimento che ci consente.

Tante premesse e contributi che già dal di dentro delle Fondazioni, arrivando a Siracusa, hanno aperto un varco alla discussione sulla distintività della missione comunitaria che queste entità rappresentano. Occorre una tensione che impedisce di valutare i progetti candidati al finanziamento delle Fondazioni, se non interroga prima il rapporto fra le stesse e i territori nei quali quegli stessi progetti si realizzeranno. Sono molte e plurali le pratiche di rigenerazione comunitaria alle quali oggi possiamo fare riferimento ma non frequenti quelle di diretto e corresponsabile engagement degli enti loro promotori, mentor o consulenti. Non v’è creatività efficace – diceva la biblista Rosanna Virgilli in una conferenza a Praglia, rileggendo le pagine veterotestamentarie di Giuseppe Principe d’Egitto presentandolo come primo cooperatore di comunità – senza condizioni di sogno, reciproca adozione e compassione. La sensazione che si muove e si rende percepibile fra i presenti ai lavori è che il tempo diventi in questo necessariamente “istituente” per tutti i soggetti che si qualificano comunitari e, in primis, fondazioni e cooperative. Forse addirittura non più species del loro genere ma, tutti insieme, genus nuovo e distintivo. Oltre alle missioni e agli interessi qualificati derivanti dai propri settori di riferimento (qui in particolare il secondo, con riferimento ai codici Ateco produttivi, e il terzo, con riferimento alle categorie di mutualità o bisogno assistite), si esige che pongano al centro, infatti, il bisogno dell’infrastruttura comunitaria come proprio specifico oggetto di lavoro.

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