LA VOCE POLITICA DELLA FILANTROPIA DEVE ESSERE UNICA, IN GRADO DI ESSERE EFFICACE E OSTINATA NEL PORRE I DIRITTI DELLE PERSONE AL CENTRO E NELL’IMMAGINARE NUOVI STRUMENTI PER LO SVILUPPO E L’INCLUSIONE

L’intervento di Stefania Mancini, Presidente di Assifero in occasione di Philanthropy Experience, la prima edizione di uno spazio in cui alcune fondazioni italiane desiderano convogliare filantropi, imprese inclini a processi estesi di Corporate Social Responsibility, operatori del Terzo Settore dedicati alla costruzione di infrastrutture sociali generative per contribuire coralmente al futuro del Paese a partire dalle energie di chi, per vocazione, investe nel benessere e nel futuro delle comunità. L’appuntamento si è svolto a Catania a settembre 2022.

Prima di parlare di visione volevo così utilizzare quella che è la mia esperienza e la mia funzione per raccontarvi a che cosa apparteniamo tutti quanti e quale potrà essere il cammino che potremo fare per il futuro.

Rispondendo a una prima domanda: “dove siamo?”

Siamo in un momento in cui oggi si stima – dico così perché i dati non sono certi – l’esistenza di 400-500 fondazioni di famiglia, 200 fondazioni Corporate in Italia e 50 (certe) fondazioni di comunità più altre 8 fondazioni di comunità che stanno nascendo.

Perché dico questo. Perché per parlare di visione dobbiamo sapere oggi chi siamo avere un benchmark per i prossimi anni. Se ci vogliamo impegnare a far entrare questa parola filantropia, istituzionale o strategica che sia, non solo nelle anime dei cittadini italiani ma anche in quelle dei responsabili della politica italiana.  

A livello istituzionale, anche se c’è ancora un lungo cammino da fare – abbiamo un buon riconoscimento.  E come lo misuriamo questo riconoscimento? Dove siamo come fondazioni (non bancarie)?

Siamo presenti ufficialmente nella Cabina di Regia del Terzo Settore, per costruire un dialogo, siamo presenti nel comitato Nazionale del Terzo Settore, ma siamo anche presenti nel Comitato Nazionale della Cooperazione allo Sviluppo, uno stimolo importante che ci ricorda che all’estero c’è un mondo che sta chiedendo di noi.

Poi c’è un ecosistema intorno a noi fatto di alleanze. Le fondazioni e gli enti della filantropia – termine che finalmente è molto ben più posizionato nel linguaggio italiano – hanno un ecosistema importante che ha alcune grandi debolezze, c’è poca capacità, ad esempio, di parlare con alcuni interlocutori che devono e possono dare un contributo importante al Paese anche per tramite di una cooperazione con la filantropia, però è un ecosistema che si sta sviluppando e sta acquisendo corpo e struttura.

È importante ricordarci che un tempo eravamo prevalentemente enti erogatori, mentre adesso siamo enti non solo erogatori, un aspetto che si è chiarito anche nel percepito dei nostri interlucotori.

Ci sono fondazioni che lavorano con modalità diverse, ed è questa una delle caratteristiche positive della filantropia italiana (e anche di quella di altri paesi) però è importante far passare questo concetto di “non solo erogatori”, non solo classificabili dal punto di vista finanziario.

Siamo enti che “erogano” anche relazioni, che contribuiscono al rafforzamento dei nostri interlocutori nelle relazioni che hanno con istituzioni, territori. Riusciamo anche a mettere a disposizione quel capitale invisibile, a condividere esperienze, saperi.

Sul fronte internazionale è importante capire dove siamo in Europa.

Io sono anziana, ho 57 Anni, e so che cosa è successo prima perché ero a Bruxelles nel 2000. Le fondazioni esistevano poco, erano promosse solo dal Centro europeo delle fondazioni (EFC), avanzavano molto bene le associazioni di interesse generale e le cooperative.

Oggi il quadro è completamente diverso. A livello di Unione Europea, per cui di Stati membri, la filantropia ha un posto chiaro, filantropia organizzata. Nel 2016 con una conferenza di Addis Abeba siamo entrati come interlocutori e anche contributori di quella che è l’implementazione dell’Agenda 2030. In questo siamo stati menzionati non solo per il nostro ruolo di erogatori, ma anche per il ruolo di innovatori e sperimentatori che possono portare al sistema dei processi di sviluppo locale in un quadro che è quello che ci riguarda tutti, che è quello dell’Agenda 2030.  

Nel 2019 il Cesa (Comitato economico e sociale europeo) ci ha menzionato con un parere importante che poi è stato confermato nel piano di sviluppo europeo dell’economia sociale. Mai avremmo pensato questi risultati qualche anno fa.

Questo è sicuramente dovuto al fatto che, oggi si chiama Philea, ma prima si Chiamavano Dafne, Efc e altre associazioni europee della filantropia che fanno quel lavoro di lobby necessario. Che a Bruxelles ha dei buoni risultati perché finalmente si comprende qual è il ruolo della filantropia accanto e all’interno del più ampio mondo del terzo settore.

Questo per dirvi che in merito a “cosa facciamo noi per il terzo settore?”, noi siamo parte del terzo settore con una funzione leggermente diversa. Lo ha riconosciuto il Codice del Terzo Settore, la Riforma, il RUNTS (Registro Unico del Terzo Settore), siamo accanto al terzo settore.

Sicuramente siamo tra gli enti che più finanziano il terzo settore a livello privato però siamo comunque enti del terzo settore.

A livello europeo esiste anche un movimento che mi piace ricordare che quello delle novecento fondazioni di comunità, non sono poche in 27 stati membri.  C’è un lavoro interessante che è andato oltre il livello di stati membri, che ha abbracciato il Consiglio d’Europa, e questo lavoro oggi si legge in un documento che è uno studio comparativo molto importante su 47 sistemi legislativi comparati fra i diversi paesi che appartengono al Consiglio d’Europa. L’Italia ha capitanato con altri gruppi di Paesi questo documento e ci permette oggi di essere più credibili nel percorso che ci aspetta.  

Non ho un’idea chiara sulla visione, perché la mia visione si compone di speranza e di parole che ispirano tutti i giorni il lavoro anche che faccio a livello territoriale come fondazione ma è anche una speranza che lego al mio breve mandato di presidente di Assifero.

Vado concludendo per dire quali sono queste parole, che forse sono banali, le ritrovate nel vostro operato quotidiano sicuramente.

Penso che ci sia bisogno di guardare al futuro con un po’ più di responsabilità. Siamo bravissimi, abbiamo la possibilità di rispondere a noi stessi ogni giorno – le fondazioni lo possono fare – però è arrivato il tempo (un tempo che ormai è arrivato da qualche anno) e che ci è stato sbattuto in faccia con la fotografia dei risultati della pandemia. L’Italia ha 6 milioni di poveri e sono poveri ossificati, ci stanno dentro la povertà. Ce li dobbiamo portare nel cuore tutti i giorni, non in maniera caritatevole, ma in maniera strategica. E strategico è il dono della Fondazione Italia per il Dono, strategica è l’azione di tutti gli enti filantropici che sono qui in maniera prossima, in maniera scientifica, però ci deve ricondurre a quella responsabilità e quella necessità di fare politica.

Io sono per la nascita di tantissimi movimenti di fondazioni in Italia, ma per una voce unica verso le Istituzioni politiche.

Mi ha colpito una frase che ho letto, del 1948, negli studi che portano degli approfondimenti su Olivetti. Corrado Alvaro parla di inaderenza. Ed è questo il periodo nostro: è un periodo di inaderenza. Inaderenza per descrivere il baratro fra i rituali della politica e i bisogni e le potenzialità del Paese del suo popolo.

Allora non sono solo bisogni quelli del nostro Paese ma sono anche potenzialità e noi esprimiamo quelle potenzialità perché siamo in uno stato di vantaggio rispetto a molti. E però le dobbiamo esprimere queste potenzialità con responsabilità strategica e politica e ostinazione.

Dobbiamo essere ostinati nel perseguire il bene del Paese e dobbiamo farlo anche con quella speranza e quell’ottimismo che può contagiare chi ha perso la speranza.

Per cui io non parlo di vincoli, rapporti con il Terzo Settore perché siamo tutti parte dello stesso mondo, parlo solamente di responsabilità. E se ciascuno di noi guarda bene quello che può fare ciascuno di noi, dico tutto il corpo della filantropia strategica, possiamo anche rappresentare una speranza per il Paese.