LA SPINTA PROPULSIVA DEI FLUSSI MIGRATORI

Eroi o falliti? Portatori di problemi o di felicità? Le ricerche rivelano gli aspetti sociali e psicologici degli individui che migrano dai Paesi poveri verso l’Occidente avanzato. L’articolo di Carla Collicelli

La tragedia che ha colpito l’Afghanistan nel mese di agosto 2021 ha richiamato prepotentemente l’attenzione mondiale, oltre che sul tema cruciale degli equilibri geopolitici nella regione mediorientale, su quello altrettanto importante dei flussi migratori dai Paesi più poveri, e flagellati dai conflitti e dalle guerre, verso il nostro ricco Occidente. Una attenzione che a fasi alterne cresce e diminuisce, e rispetto alla quale gli sbarchi sulle coste della Sicilia costituiscono una costante, una sorta di basso continuo, che rischia di conseguenza di cadere periodicamente nell’oblio e nel disinteresse generale.

È quindi soprattutto quando nuove schiere di individui e famiglie, costrette alla fuga dal proprio paese per un qualche evento drammatico – come nel caso dell’Afghanistan – o per una miseria endemica, si affacciano alla ribalta sui nostri confini, che il dibattito si riaccende. La tonalità emotiva con la quale solitamente si affronta la questione è di tipo allarmistico, nel migliore dei casi preoccupato, e le problematiche che vengono additate al dibattito pubblico come urgenti e da considerare sono quasi sempre relative in via esclusiva ai rischi che i flussi migratori comportano per il nostro mondo. Nulla o quasi nulla viene preso in considerazione in termini di opportunità e di contributo positivo offerto dai migranti. Il che denuncia una evidente parzialità di approccio, ma anche una miopia determinata in gran parte dalla scarsa conoscenza degli aspetti di carattere sociale, culturale e psicologico che caratterizzano quei flussi e dalla mancata considerazione degli effetti che questi aspetti hanno e possono avere sul nostro mondo.

A questo proposito, una ricerca realizzata per incarico della Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) nel 2019[1], ha avuto il coraggio di tentare una esplorazione trasversale su di una tematica sulla quale l’allarme generale è cospicuo: quella delle motivazioni alla partenza di chi intraprende la via dell’emigrazione irregolare verso l’Europa a partire dall’Africa sub-sahariana. Lo studio si è avvalso di 1983 interviste realizzate in 123 differenti villaggi di 5 Paesi[2] e di 67 colloqui con stakeholder – tra amministratori, rappresentanti politici e rappresentanti del terzo settore e dell’associazionismo -, oltre che di una accurata analisi della letteratura di settore.

L’analisi di letteratura ha confermato la preminenza delle tematiche di tipo socio-economico e demografico nell’analisi del fenomeno, rispetto a quelle sociali e psicologiche. E anche da questo punto di vista solo raramente si tiene conto del fatto che molti dei Paesi interessati non sono di per sé poveri. In Africa, ad esempio, si trovano risorse naturali, idriche, forestali, minerarie e energetiche come in nessuna altra parte del mondo. La popolazione giovanile, in un territorio sconfinato e con una densità demografica molto bassa, costituisce una risorsa enorme, di cui altri continenti non sono altrettanto forniti ed in qualche caso, come in Europa, cominciano a soffrire la scarsità. Di per sé, quindi, i tassi di sviluppo positivi, la conformazione geografica e quella demografica del continente africano, potrebbero far pensare ad un futuro meno problematico e ad una capacità di rigenerazione economica e sociale autonoma e contenuta entro i propri confini, se non addirittura di supporto al resto del globo.

La ricerca suggerisce a questo proposito che le interazioni tra continente africano e resto del mondo non dovrebbero essere vissute solo come una minaccia, ma piuttosto come una rigenerazione dopo quanto è successo in passato in termini di colonialismo e sue conseguenze. Tutto ciò che è avvenuto dopo la fine del colonialismo in termini di aiuti e di accordi economici, sociali e culturali, ha sicuramente contribuito ad avviare una inversione di tendenza dei trend negativi, ed in particolare ha dato vita ad una crescita economica positiva e ad un miglioramento generalizzato delle condizioni di vita, ma non è sicuramente riuscito a scalfire in maniera adeguata i retaggi del passato e i ritardi derivanti dalla lunga sottomissione coloniale.

Cosa che non sono riuscite a fare almeno ad oggi, peraltro, nemmeno l’ondata della globalizzazione né quella della digitalizzazione, che hanno sì portato importanti contributi di modernizzazione e di apertura a informazioni e contatti in precedenza impossibili, ma aggiungendo anche in parte nuovi problemi ai problemi, ad esempio provocando quella che è stata chiamata una “omogeneizzazione dei desideri” delle popolazioni africane, ed in particolare di quelle più giovani, rispetto alla propria esistenza. Gli aiuti stanziati a più riprese, ad esempio a seguito del Summit del Millennio a cavallo del secolo, non sono riusciti nell’obiettivo di dimezzare la povertà entro il 2015, come si era previsto, dando vita in qualche caso a forme nuove di corruzione e sfruttamento, e di conseguenza di nuova povertà.

Nel frattempo si è mossa l’azione della Cina nella direzione di investimenti sempre più cospicui in Africa, diventando per molti giovani una realtà economica e sociale di attrazione e di possibile riscatto, ed è continuata la penetrazione di un certo tipo di Islam radicale, tendenzialmente foriero di conflitti e criticità di vario genere, e molto diverso dall’Islam tradizionale africano, storicamente tollerante e sincretico.

A partire da questo genere di considerazioni la ricerca ha preso le mosse, con l’intenzione di avviare un percorso di analisi del portato socio-antropologico delle migrazioni dall’Africa sub-sahariana all’Europa ed all’Italia. La direzione intrapresa ha dato vita alla costruzione di uno strumento di rilevazione sottoposto ai partecipanti agli eventi di CinemArena, centrato sui contenuti valoriali, le tonalità emotive ed i concreti atteggiamenti degli abitanti dei villaggi rispetto ai flussi verso l’Europa. Tutto ciò a partire dall’ipotesi che le tendenze più recenti, ed in particolare quelle dei flussi irregolari diretti verso l’Europa, vadano lette anche e soprattutto alla luce dei cambiamenti di tipo socio-antropologico, che si sono innestati sui fenomeni di più lunga data.

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