IL FATTORE CULTURALE NEL GOVERNO DELLE TRANSIZIONI A MATRICE COMUNITARIA

La cultura è una risorsa indispensabile per costruire risposte sistemiche alle sfide altrettanto sistemiche che interessano le collettività oggi. L’articolo di Paolo Venturi e Andrea Baldazzini su AgCULT

Tra gli esiti forse più inaspettati e radicali generati dalle conseguenze delle recenti crisi economico-sociali, vi è stato il riconoscimento di un doppio e rinnovato protagonismo: da un lato, la riscoperta della centralità della dimensione territoriale, dal punto di vista sia della messa a punto di strategie dal basso in risposta alle criticità emergenti, sia della costruzione di modalità inedite di collaborazione tra differenti attori sociali che hanno permesso la ri-partenza di interi tessuti produttivi. Ciò ha portato ad un cambio profondo della concezione di territorio che ha smesso di essere unicamente un’entità geografico-spaziale, per essere assunto sempre di più come “modo di co-operare, con molteplici effetti di ordine economico, politico, culturale, etc., che ha quale obiettivo la creazione di un contesto capace di moltiplicare le risorse comuni, necessarie al funzionamento di ciascuno e di tutti gli attori coinvolti” (Prandini 2014). Una prospettiva che richiede dunque l’assunzione di una diversa ecologia alla base del funzionamento dei meccanismi di sviluppo territoriale.

Dall’altro lato, una altrettanto importante riscoperta è stata quella inerente il ruolo strategico della cultura quale motore di cambiamento endogeno (Venturi 2020) e quale vera e propria “industria”, che si è dimostrata capace nel recente periodo di strutturare nuove economie e acquisire solide capacità imprenditoriali (Symbola 2021).

Guardando poi a quelle che sono le grandi sfide che attendono il Paese nei prossimi anni, merita sottolineare il, seppur lento, progressivo superamento di un triplice riduzionismo che a lungo ha attanagliato il mondo della cultura portando ad una sua de-valorizzazione: in primo luogo, il ritenere la cultura una forma di sapere prodotto unicamente all’interno delle tradizionali e più comuni realtà di riferimento (ad es. la scuola, le istituzioni e organizzazioni culturali, i beni storici, etc.); in secondo luogo, il considerare la cultura un bene ‘accessorio’ che può essere goduto e coltivato solamente ex post, cioè dopo che si dispone di un livello minimo di benessere e sono stati soddisfatti altri bisogni ritenuti primari; in terzo luogo, l’osservare la cultura secondo uno sguardo ‘settoriale’ restando ciechi alle innumerevoli e profonde connessioni che la legano ad una molteplicità di altri ambiti e di cui si dirà meglio in seguito.

È infatti nelle conseguenze del combinato disposto di questo triplice riduzionismo che bisogna rintracciare le cause che hanno portato ad un allontanamento della cultura dalle comunità e affermato un’apparente impossibilità della partecipazione delle medesime alla produzione culturale.

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