I NOSTRI GIOVANI SONO GIOVANI TROPPO A LUNGO: LA POLITICA LI DEVE AIUTARE A CRESCERE

Serve un cambiamento culturale che li responsabilizzi rendendoli più “cittadini attivi” e meno “figli a carico”. Questo passa però da investimenti che li aiutino a sperimentarsi e ad essere riconosciuti come soggetti in grado di prendere decisioni responsabili. A dirlo è Alessandro Rosina su Percorsi di Secondo Welfare partendo da alcuni dati raccolti dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo

Le politiche migliori per i giovani sono quelle che li aiutano a smettere di essere giovani. In Italia abbiamo pochi giovani, come ben noto, che però rimangono giovani troppo a lungo. Arrivare con successo alla fine degli studi, trovare lavoro, sostenere i costi di una abitazione (accedere a un mutuo), avviare una propria attività, più che nel resto d’Europa dipende dalle risorse della famiglia di origine e meno da politiche che si rivolgono direttamente ad essi come cittadini in senso proprio. I giovani italiani si trovano, così, ad essere maggiormente e più a lungo a carico della ricchezza privata accumulata in passato dai genitori, anziché messi nella condizione di generare nuova ricchezza e rafforzare il benessere collettivo.

A vivere ancora nella famiglia di origine nella fascia d’età 25-29 sono circa due su tre nel nostro Paese contro meno di uno su dieci nei Paesi scandinavi. Il record di NEET (under 30 che non studiano e non lavorano) che ci caratterizza nel quadro europeo deriva proprio dalla combinazione tra più prolungato aiuto dei genitori e minori strumenti offerti attraverso efficienti politiche attive.

Le difficoltà nella transizione scuola-lavoro e un contesto sociale che dà per scontato che i giovani possano rimanere dipendenti dalla famiglia di origine sin oltre in 30 anni produce ripercussioni negative su tutto il percorso di transizione alla vita adulta. L’Italia, in coerenza con ciò, è anche il Paese in Europa con crollo maggiore delle nascite da coppie under 30.

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