DOPO PORTO, L’UNIONE EUROPEA SARÁ PIÙ SOCIALE?

Lo scorso maggio in Portogallo i leader degli Stati UE si sono impegnati a raggiungere, entro il 2030, alcuni obiettivi ambiziosi su occupazione, formazione e povertà. Con una serie di approfondimenti SecondoWelfare analizza se e quanto il Pilastro europeo dei diritti sociali e la dichiarazione di Porto che lo sostiene possono essere importanti per il futuro dell’Unione. L’articolo di Paolo Riva.

“Garantire pari opportunità a tutti e non lasciare indietro nessuno”. Nella Dichiarazione di Porto che i leader UE hanno firmato lo scorso maggio c’è anche questo impegno, tanto retorico quanto cruciale. Non è la prima volta che i capi di Stato e di Governo dei Paesi dell’Unione Europea approvano un documento con queste parole o altre simili. Eppure, l’occasione potrebbe rivelarsi particolarmente importante. Il condizionale è d’obbligo, ma diversi osservatori ritengono che il passo formale compiuto in Portogallo possa portare questa volta ad azioni concrete. Dopo anni di austerità, il cammino verso un’Europa sociale partito nel 2015 potrebbe ora riprendere e, complice la pandemia,  procedere più veloce e deciso.

A Porto, infatti, è stato approvato il Piano d’azione sul pilastro europeo dei diritti sociali proposto dalla Commissione UE che, in particolare, individua tre obiettivi principali da raggiungere entro il 2030

  • che almeno il 78 % della popolazione di età compresa tra i 20 e i 64 anni abbia un lavoro;
  • che almeno il 60 % di tutti gli adulti partecipi ogni anno a attività di formazione;
  • che il numero di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale diminuisca di almeno 15 milioni.

Così facendo, secondo Joost Korte, il messaggio che i leader europei hanno mandato è chiaro: “in tempi di grandi cambiamenti, dobbiamo rafforzare i diritti sociali”. Korte è a capo della Direzione Occupazione, affari sociali e inclusione della Commissione UE, che si occupa proprio del piano d’azione. “I diritti sociali – spiega a Secondo Welfare – devono essere un elemento fondamentale della ripresa dalla crisi del coronavirus e della spinta dell’Unione verso una transizione digitale e verde equa”. 

Sebastiano Sabato, senior researcher dell’Observatoire social européen, concorda su questa linea. “Il vertice sociale di Porto e la dichiarazione dei leader legano il Pilastro europeo dei diritti sociali alla transizione verde e digitale”, sostiene, riprendendo un concetto che aveva già condiviso con noi qualche mese fa. “Non solo. Dal momento che il Pilastro era stato adottato nel 2017 dalla Commissione Juncker, il summit è stato anche un modo per legittimare la dimensione sociale anche nel contesto attuale”, aggiunge il ricercatore. 

Secondo Maurizio Ferrera, docente di Scienza Politica all’Università degli Studi di Milano, Porto è un momento chiave dell’integrazione europea. Per il professore, che per cinque anni si è dedicato al progetto Reconciling Economic and Social Europe (REScEU), “a livello politico, il summit suggella una svolta sociale dopo un decennio di risposte tardive alla crisi finanziaria e alla recessione economica”.  Un’occasione per l’Unione di ripartire dalle preoccupazioni più concrete dei cittadini, come confermato anche da un recente sondaggio dell’Eurobarometro. 

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