COMUNI E TERZO SETTORE ALLEATI PER MIGLIORARE IL PNRR

L’Osservatorio sul Pnrr sociale incontra il sindaco di Reggio Emilia e delegato Anci al Welfare e al Terzo settore: “Il Terzo settore ha nei comuni italiani un grande alleato, ce l’ha tutti i giorni e i tanti progetti con cui lavora e costruisce e ce l’avrà anche in futuro mano a mano che svilupperemo il Pnrr e le varie riforme che progressivamente speriamo verranno avanti”. L’articolo su Vita.

«Pancia a terra e lavorare». È stato questo il messaggio che il presindente del Consiglio Mario Draghi ha ribadito ieri con energia aprendo il primo consiglio dei ministro dopo la conferma di Sergio Mattarella al Quirinale. L’agenda del 2022 del Pnrr prevede infatti 102 target. L’attenzione è rivolta in particolare agli obiettivi che ricadono sotto la responsabilità di enti locali, Regioni e aree metropolitane. E in quella sede potrebbero emergere difficoltà consistenti a impegnare le risorse e a realizzare le opere. Il 36% per cento dei fondi assegnati dal Recovery è affidato alle autorità locali. Si tratta di 66 miliardi da impiegare per asili nido, rigenerazione urbana, edilizia scolastica e ospedaliera, economia circolare, interventi per il sociale. Sono misure presenti in particolare nelle Missioni 2 e 5 del Piano Nazionale di Riforme e Resilienza. Di fatto è il Pnrr sociale. Quello in cui avrebbero dovuto e dovrebbero venir coinvolti i soggetti del Terzo settore, nel nome del principio di coprogrammazione e coprogettazione esplicitati nel Pnrr. Cosa che ad oggi non è in alcun modo avvenuta: il sociale e il Terzo settore sono stati considerati (quando lo sono) meri fornitori di servizi, non partner con cui architettare nuovi e più efficaci modelli di intervento.

Luca Vecchi è il referente Anci per il Welfare e il Terzo settore. Da sindaco di Reggio Emilia partecipa, insieme ad altri nove capoluoghi di provincia, al progetto Will Welfare Innovation Local Lab, che si propone di individuare interventi che rispondano ai bisogni dei cittadini e che siano in grado di autosostenersi, senza pesare sulle finanze pubbliche locali. Abbiamo incontrato Vecchi insieme ad alcuni dei componenti dell’Osservatorio sul Pnrr sociale che Vita ha promosso insieme a dieci reti di scopo del Terzo settore. Ecco il resoconto del dialogo.

Stefano Arduini: Quella del Pnrr è una grande partita che si può e si deve giocare con la coprogettazione. Quali riflessioni si possono fare sulla prima parte del piano e in particolare sull’impatto che ha sui territori e sull’impegno del Terzo settore?
Come comuni siamo di fatto in una fase iniziale nel percorso del Piano nazionale di resilienza e ripartenza. Ci stiamo misurando con i bandi in uscita, con le progettazioni da candidare e con la verifica della nostra capacità di attrarre risorse sui bandi proposti. E questo non riguarda solamente le missioni più facilmente riconducibili al sociale e al sanitario. Riguarda per esempio i bandi che stanno interessando i comuni sulle scuole, i bandi sulla rigenerazione urbana, quelli della transizione ecologica ecc. Ma c’è una premessa che ritengo di dover fare: noi non abbiamo di fronte un grande calderone di risorse dove possiamo presentarci, candidarci, magari anche con delle progettualità interessanti e attraverso percorsi di negoziazione bilaterale portare a casa delle risorse prioritariamente in funzione degli interessi dei territori.
Questi bandi hanno delle caratteristiche tecniche e delle regole d’ingaggio. Le città in tutti i settori – dalla transizione ecologica alla rigenerazione urbana, dalla progettazione sociale a quella sanitaria – devono avere la capacità di leggere i propri bisogni di territorio e di provare a connetterli il più possibile con le regole d’ingaggio della committenza che è lo Stato, è il governo.
È un primo aspetto di carattere metodologico perché io noto, anche nel dibattito pubblico in generale, che si approccia il Pnrr come fosse un enorme quantità di risorse a disposizione dove bisogna sviluppare capacità creative sul piano progettuale tra il pubblico e il privato sociale e poi andare a portare a casa le risorse. Non funziona così. L’efficacia e l’efficienza dei territori al di là che si tratti di progettualità esclusivamente pubbliche o di cordate di progettazione pubblico-privato muovono innanzitutto dalla capacità di riuscire a mettersi in sintonia con ciò che i bandi costruiti intorno alle singole missioni ti propongono.
Faccio un esempio concreto. I bandi per le scuole finanziano le mense, gli impianti sportivi negli spazi scolastici, la sismica…Io ho una mia autonoma strategia sull’edilizia scolastica, sugli spazi, sul fabbisogno di investimento nel sistema educativo della mia città e non è detto che la mia autonoma strategia sia perfettamente collimante con le esigenze di questi bandi. Quindi devo cercare di produrre una progettazione che diventi competitiva rispetto alle regole d’ingaggio. Dobbiamo secondo me prendere le distanze da quello che è il nostro mondo ideale, magari anche giusto, e atterrare con pragmatismo anche un po’ visionario perché abbiamo di fronte un’opportunità di portata epocale, una quantità enorme di risorse che atterrano sui territori. Il pragmatismo visionario è la concretezza di stare dentro queste regole di ingaggio con una visione strategica sul tuo territorio, sulla tua comunità a 360 gradi in tutti i settori. Questo a mio avviso vale anche per tutta la progettazione che riguarda le missioni del sociale che in alcuni contesti è investimento puro, cioè muri, in altri è invece progettazione sociale vera e propria, in alcuni contesti è il pubblico che corre ed eventualmente poi connette il privato sociale in un secondo momento, in altri possono essere delle vere e proprie strategie pubblico-privato che si candidano a determinati bandi. Questo aspetto metodologico che è poi essenzialmente politico nella strategia dei territori all’approccio al pnrr va messo a fuoco.

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