ALZIAMO IL SIPARIO SULL’ITALIA DELL’ACCOGLIENZA

Famiglie, imprese, atenei, Terzo settore. Il caso afghano ha svelato come in questi anni in Italia sono maturate esperienze e capacità di reale interazione e integrazione dei migranti. Un pezzo di Paese che rappresenta una cultura sempre meno minoritaria e che sa mettere in campo soluzioni pragmatiche. Un pezzo d’Italia che merita di essere raccontato. Il book del numero di Vita in distribuzione da venerdì 8 ottobre getta una luce proprio su quei soggetti che nella pratica quotidiana assicurano integrazione e sicurezza

Faisal, Abdul, Aida, Rasha, Ismael e tutti gli altri arrivati con il ponte aereo da Kabul hanno originato una piccola ma profonda rivoluzione. Davanti alle loro storie e ai loro volti l’opinione pubblica italiana non ha avuto dubbi sulla necessità e sulla bontà dell’accoglienza. Così la macchina complessa ha potuto mettersi in movimento senza incontrare opposizioni, per trovare una destinazione ai fuoriusciti dall’Afghanistan. Piccoli comuni, città, associazioni del privato sociale e anche singoli cittadini hanno aperto le porte. La prontezza nella risposta smantella un luogo comune. L’emergenza migranti è molto più politica che reale.

I corridoi umanitari, ponti d’umanità
Per raccontare come poco alla volta in Italia si sia strutturato un modello di accoglienza/integrazione che può fare la differenza dobbiamo tornare al 2015. Alla fine di quell’anno viene firmato un protocollo d’intesa tra la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche, la Tavola Valdese, la Cei-Caritas e il Governo, per aprire il primo corridoio umanitario. «Mille profughi siriani, che vivevano nei campi profughi in Libano, sono arrivati nel nostro Paese», ricorda Daniela Pompei, responsabile della sezione migranti e accoglienza di Sant’Egidio. «Da allora abbiamo firmato altri cinque protocolli per portare in Italia i rifugiati dall’Etiopia, dalla Giordania, dal Niger, dalla Libia, dalla Grecia». I corridoi permettono a persone in condizioni di vulnerabilità un ingresso legale sul territorio italiano. Una volta qui i profughi sono accolti dai promotori dei progetti: «Strutture ecclesiastiche, famiglie, associazioni laiche, mettono a disposizione gli appartamenti per le famiglie rifugiate, e ogni mese si fanno carico delle spese e dei percorsi di integrazione dei rifugiati», spiega Pompei. Attraverso i corridoi umanitari sono arrivate più di 3mila persone in Italia, su un totale di 3.700 giunte in Europa.

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