ACCOGLIENZA A DOPPIO STANDARD

Quando a marzo Iana Kuko ha lasciato la sua città, Orichiv, nella regione di Zaporizhia, in Ucraina, iniziavano già a mancare sia cibo che acqua. Le altre città intorno erano state occupate: «era questione di giorni ed era troppo rischioso restare, avevo paura dei bombardamenti, ma temevo anche di rimanere in trappola e non riuscire più ad andare via», racconta. «Così ho messo insieme poche cose in una valigia e sono partita». Il lungo viaggio che la porta via da Orichiv inizia con un treno notturno verso il confine polacco, poi la tratta fino a Varsavia. Qui la primissima accoglienza è una brandina nera sistemata nel padiglione undici dell’ex Expo della città, riadattato a centro per i profughi in fuga.

Quasi settemila persone sistemate in grandi container, dove un tempo si esponevano merci e oggi si prova a ricostruire pezzi di vita. Un padiglione è adibito a dormitorio, accanto c’è la mensa e una stanza per i giochi dei bambini. Kuko sa che da qui può raggiungere facilmente la sua meta finale: l’Italia. Dentro il padiglione undici c’è un desk allestito dalle organizzazioni non governative Caritas italiana, Open Arms e Solidaire del tutto simile a quelli che si vedono negli aeroporti. Da marzo le tre organizzazioni hanno iniziato a fare i primi voli umanitari dalla Polonia all’Italia e la Spagna, portando via ogni volta circa duecento persone a tratta. «Lavoro per un’azienda che ha diverse sedi all’estero. Quando è scoppiata la guerra i colleghi italiani mi hanno subito invitata, mi hanno detto di andare via, mi avrebbe ospitato loro» spiega Kuko, atterrata a Roma il 21 marzo scorso. Per cinque settimane ha vissuto a Viterbo nel monastero di Santa Rosa insieme ad altre 17 persone ospitate dalla Caritas attraverso la diocesi.

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