A TRENT’ANNI DALLA 381

Come superare le letture semplicistiche del volontariato e della cooperazione sociale, partendo da una riflessione documentata sulle loro origini


Non vi è alcun dubbio che il Terzo settore italiano come lo conosciamo oggi – ed in particolare la parte impegnata nei servizi di integrazione sociale e lavorativa – ha essenzialmente una duplice radice: il volontariato organizzato e la cooperazione (di solidarietà) sociale. Insieme, da un lato hanno sviluppato – a partire dagli anni ‘70 del ‘900 – riflessioni, strategie e modelli di servizi, dall’altro hanno portato avanti istanze di riconoscimento e di sostegno, tra cui in particolare le due leggi di cui quest’anno ricorre il trentennale. Due leggi che hanno poi aperto la strada anche allo sviluppo e al riconoscimento di altre forme organizzative – associazioni e fondazioni – in parte preesistenti e impegnate nella promozione della socialità, della cultura e dello sport, ed infine all’approvazione del Codice del Terzo settore, passando per leggi come quella sulle Associazioni di Promozione Sociale e sulle Onlus.

Di seguito incentrerò la riflessione soprattutto sulla cooperazione sociale, senza tuttavia dimenticare il volontariato.

Nessuno oggi mi pare metta più in dubbio la rilevanza sociale, economica e occupazionale del volontariato e soprattutto della cooperazione sociale. Ciò su cui credo le idee siano sempre più confuse sono le ragioni che ne hanno comportato lo sviluppo. Sempre più spesso si sente affermare – anche da studiosi che da tempo si occupano di questi temi – che esso è stato determinato soprattutto, se non esclusivamente, dalle politiche di “privatizzazione” o di “esternalizzazione” dei servizi sociali e che ciò avrebbe reso la cooperazione sociale (e una parte significativa del volontariato) non solo interamente dipendenti dalle risorse pubbliche e assimilati ai modelli organizzativi della pubblica amministrazione, ma anche colpevoli di avere consentito un generico “disimpegno” dello Stato sociale e una riduzione delle risorse pubbliche ad esso dedicate. Finendo sia per metterne in discussione il valore sociale e la capacità di innovazione, che per affidare lo sviluppo del settore a nuovi “esperimenti generativi” che nella maggior parte dei casi si scoprono essere comunque cooperative sociali, magari solo impegnate in attività diverse da quelle tradizionali.